martedì 12 marzo 2013

Il Sentiero Natura


Questo sentiero permetteva agli abitanti di Prosecco di scendere al mare, fa parte di quei percorsi molto usati fino a non molti decenni fa da chi si muoveva a piedi, ora sono in uno stato di totale abbandono e di questo passo non ci vorrà molto perché se ne perda ogni traccia.

mercoledì 20 febbraio 2013

Pista ciclabile e Val Rosandra


Questo è il percorso previsto per domenica 24 febbraio:

Ritrovo alle 10.00 in piazza Oberdan e si va in via Mazzini a prendere il bus numero 10, si scende a S.Giacomo da dove si inizia la passeggiata percorrendo la ex linea ferroviaria (ora pista ciclabile) fino al punto in cui si incrocia la strada che da Moccò scende a Botazzo.
Da Botazzo si prende il sentiero che transitando a fianco del rifugio Premuda conduce a Bagnoli della Rosandra da qui con il bus numero 41 si raggiungerà nuovamente la piazza Oberdan.
Solo in caso di maltempo per la data prevista (24 febbraio) verrà riproposto lo stesso percorso per la domenica successiva.



venerdì 15 febbraio 2013

Domenica 3 marzo 2013 - passeggiata vista mare.


 Queste sono le immagini del percorso in programma per domenica 3 marzo 2013. 
 Si prega di comunicare via mail di volta in volta se si ha intenzione di partecipare alla uscita mentre al contrario non è necessario comunicare la "non presenza" ne tanto meno il motivo.



Alcune immagini della vista dal "Sentiero della Salvia", nella parte finale di questa escursione.






L'uscita prevede la partenza alle ore 10 dal bivio di Miramare e l'attraversamento  deil parco  fino all l'uscita alta da dove, attraverso la stazioncina di Miramare salendo una piccola scalinata si svolterà a sinistra in direzione Santa Croce.

Punto B - stazione di Miramare

La strada pur essendo asfaltata è soggetta a scarsissimo traffico e costeggiando la linea ferroviaria per un buon tratto va a incrociare la strada che salendo dalla costiera raggiunge il paese di Santa Croce.
Punto C - Acquedotto di Santa Croce

Superata questa si continua tramite un sentiero molto ampio fino al bivio di Aurisina, ovvero il punto in cui la linea ferroviaria che arriva da Monfalcone si unisce a quella che scende da Opicina.
Punto D - Bivio di Aurisina
Si percorre quindi un sentiero che conduce alle Cave di Aurisina, da li si sale alla Vedetta Weiss

Le cave di Aurisina viste da 1.000 metri di altitudine, (contrariamente alle altre immagini viste dai 300 metri)
al punto E la posizione della vedetta Weiss
scendendo poi alla sottostante strada Costiera da dove si prenderà il bus che ci riporterà al bivio di Miramare.

Importante fornirsi di un biglietto per il bus della linea 51, lo si può trovare alla stazione delle corriere (Silos) al costo di Euro 2,60.

Durante il percorso verranno raccolte delle immagini ( fotografie e video) che vedrete poi pubblicate in questo blog.

Per ulteriori informazioni ed eventuali adesioni chiamare il n° 340 5504662

Indirizzate le vostre mail a: andrey.pejbosky@gmail.com



                                                           Fulvio Covalero

domenica 10 febbraio 2013

Una strada romana - Tracce del passato.

La strada che dal Valico di Monte Spaccato scende verso la città ricalca probabilmente uno dei percorsi  che fin dai tempi più remoti si erano aperti al cammino, agli incontri e anche agli scontri degli uomini che prima frequentarono e poi si stabilirono sulle altre del Carso approfittando degli inverni miti, tipici della costa, per far pascolare le loro mandrie.
Sul soprastante Monte Calvo sono stati ritrovati i resti del muro di cinta di un castelliere, tipico villaggio fortificato dell’età del ferro (X secolo a.C.).
La strada venne ampliata in epoca romana, ai tempi di Augusto, impegnato in azioni militari contro i giapidi nel Carso Orientale.
Tergeste (Trieste) e il suo retroterra furono inserite nella X regio e poi nella provincia Venetia e Histria in diretto contatto con i popoli e le grandi direttrici del Danubio, della Drava, della Sava e dei Balcan.
Attraverso il valico dunque Tergeste fu collegata – per motivi militari, politici e commerciali – sia alla strada che proveniente dal vallo fortificato di Piro, collegava Aquileia  (strategico centro romano della regione)  a Iulia Emona (Lubiana), sia sulla strada che proveniente da Fonte Timavi (Bocche del Timavo) collegava Aquileia a Tarsatica (Fime).
Dopo le invasioni barbariche, in tempo medioevale, questa zona di campagne e di boschi era conosciuta con il nome di Bovolenta e appartenne ad alcune famiglie patrizie triestine, al vescovado e al convento delle benedettine.
Del vicino paese di Padriciano (Paderiche) e il transito pedonale su questa strada aumentò negli anni in cui Trieste si ingrandì grazie all’espansione dei traffici portuali.
Quotidianamente le donne di Padriciano (116 abitanti nel 1816) si incamminavano per vendere il latte nelle case della città.
I contenitori del latte venivano trasportati in ceste che le lattaie reggevano in testa, spesso assieme ad altri prodotti agricoli.
Solo negli anni Trenta comparvero gli asini che bardati con delle apposite bisacce, potevano trasportare fino a quattro contenitori di latte.
Per portare altri oggetti piccoli veniva usato in paese anche un carretto a due rote portato a mano, mentre il bue er impiegato per trainare i carri più grandi utilizzati per il trasporto del letame, del pietrisco e della legna.
La strada ebbe una continua manutenzione: furono realizzate diverse caditoie trasversali in pietra arenaria per drenare a valle l’acqua piovana e nei punti più esposti fu eseguita una lastricatura ai bordi con la successiva posa di paracarri. Sia in pietra arenaria che in pietra calcarea.
Questo percorso fu scelto anche dai naturalisti che salivano al Monte Spaccato per erborizzare o per camminare sul Carso.
Nel 1939 fu posizionato in prossimità della sella, a cura dell’Ente Autonomo Statale della Strada, un cippo di calcare di Aurisina di notevoli dimensioni e del peso di 7 tonnellate, che riportava un’iscrizione dell’archeologo istriano Piero Sticotti, allora direttore del Museo di storia ed Arte di Trieste: “Attraverso questo valico – sopra la valle di San Giovanni – stillate dalle sue rocce le sacre acque del Timavo – spaccata la viva rupe dal ferro dei Legionari di Augusto – fu aperta questa strada che da Tergeste – fatta colonia romana dal fondatore dell’impero – portò le aquile romane a debellare i barbari alla porta orientale d’Italia”.
Il cippo fu progettato dall’arch. Arduino Berlan, erede di una famiglia di architetti triestini e fu danneggiato dagli eventi bellici. (Oggi del manufatto originrio restano alcuni blocchi visibili scendendo la strada per un centinaio di metri dal sottopasso).
Il trasporto del latte andò scemando agli inizi degli anni Quaranta, sia a causa della realizzazione di una moderna “centrale del latte”, sia dalla comparsa dei primi mezzi motorizzati.
Secondo le ricerche del Circolo Slovan la prima moto arrivò a Padriciano nel 1935, il primo autocarro per il trasporto  nel 1947, il primo autobus di linea nel 1948 e la prima automobile nel 1951.
Negli anni 50 fu realizzata anche la nuova strada statale n. 202, meglio conosciuta come “Camionale” e la vecchia strada romana perse definitivamente la sua funzione commerciale e fu abbandonata nel decennio successivo.


Clicca qui per vedere il filmato

2003 - la prima uscita.

Nei primi giorni di febbraio trovare una giornata climaticamente possibile non è facile, la splendida giornata di sole è stata davvero inaspettata soprattutto tenendo conto che solo dodici ore prima in città soffiava forte il vento e pioveva.
Come si vedrà nelle immagini il percorso permetteva la vista su buona parte della città e sul golfo e il percorrere all'andata il sentiero protetto dal ciglione carsico ha permesso di godere del tepore dl sole senza che ci fosse un filo di vento, mentre al ritorno dopo il "pranzo al sacco" si era nel primo pomeriggio quando la temperatura aveva raggiunto il punto più alto della giornata.
Ottime le relazioni tre le persone e benché alcuni non si conoscessero tra loro si è da subito instaurato un rapporto di reciproca simpatia.
Ora si sta preparando il "In fila pel Tre", l'alta via del Carso da percorrere a tappe a ritmo passeggiata, un modo di stare assieme all'aria aperta e per alcuni anche coprendo nuovi luoghi.

Per saperne di più potete inviare una mail a: andrey.pejbosky@gmail.com

o telefonare al numero 340 5504662
Mi chiamo Fulvio Covalero, avrò il piacere di soddisfare qualunque vostra curiosità.


Clicca qui per vedere il film

"In fila pel tre"

Il sentiero numero 3 viene anche chiamato "alta via del Carso" e infatti il suo percorso affianca per tutta la sua lunghezza (oltre 50 km) il confine con la Slovenia, confine tracciato sulla cima di tutte le alture del circondario, questo permette a chi lo percorre di godere costantemente di una vasta visibilità sul panorama, spesso oltre che del versante italiano anche di quello sloveno.
Una volta all'anno sull'intero percorso viene organizzata una gara aperta sia ai podisti che alle mountain bike, prova che definire impegnativa è dir poco.
Noi di Andrey Pejbosky di questo stupendo percorso vogliamo tenerci la parte migliore, ovvero percorrerlo a tappe in diverse domeniche in compagnia di vecchi e nuovi amici.
Allo scopo abbiamo preparato un filmato riguardante la prima tappa, (nessuno si preoccupi della presenza della neve, la passeggiata si farà in marzo) che in pratica è un circuito con partenza e arrivo a Basovizza e che andrà a toccare il paese di Grozzana e la cima del monte Cocusso.

Per maggiori informazioni potete inviare una mail a: andrey.pejbosky@gmail.com
oppure chiamare il numero 340 5504662.

Intanto .... buona visione.


Cliccando su questa scritta le immagini di quello che sarà il percorso della prima tappa.

mercoledì 6 febbraio 2013

La pista ciclabile - Tracce del passato

Oggi è una pista ciclabile, ma in passato è stata una linea ferroviaria di indubbio fascino.


BINARI SCONOSCIUTI Una storia della Valle

pubblicata da Doro Balkan su Facebook il giorno Mercoledì 6 febbraio 2013 

E’ la nitida mattina del 31 dicembre 1958, un san Silvestro come tanti; verso l’altipiano altissime nuvole striate giacciono in attesa.
In città sono già iniziate le grandi manovre del cenone: scampoli di benessere hanno fatto tornar pian piano il sorriso ai triestini e negli empori alimentari c’è la fila; fila anche agli sportelli per saldare le ultime scadenze, tram e filovie gremiti, sui marciapiedi gli auguri di rito, l’usata speranza che l’anno da venire sia migliore.
Una bella giornata, neppure fredda se non fosse per qualche raffica che t’abbraccia agli angoli inattesa, s’insinua birichina tra i cappotti, fa ondeggiare all’incrocio la “600”. Spruzzi d’acqua salata hanno bagnato a chiazze il selciato in riva alla “sacheta”: di fronte c’è la vecchia stazione di Campo Marzio, il prestigioso capolinea di levante… La “Transalpina”, la “Parenzana”, l’”Istriana”, cocchieri in attesa un tempo sul piazzale, cavalloni di ghiaccio accovacciati tra le bitte, la “lanterna” che vegliava sulla notte del golfo… Poi la guerra si mangiò la grande tettoia di lamiera, ferro per le truppe, sulla carta delle venezie un tratto rosso recise le tre gloriose linee.
Oggi però c’è il sole: binario due, saran da poco passate le undici; la vaporiera già in pressione ansima aspettando un cenno.
Il profumo del mare d’inverno zigzaga misterioso tra i binari, si mischia agli sbuffi di vapore, arriva stordente e strano alle narici. Un riflesso particolare accende proprio oggi i graffiati e opachi finestrini del convoglio, una tinta cristallina azzurro tanzanite: forse il cielo, terso sopra al mare mosso o la luce radente del mattino.
Verso Sant’ Andrea una musica remota, un ritmo scandito da fiati e percussioni: una banda di rione, forse solo un impressione, una bugia… Un sibilo improvviso: la locomotiva si è mossa lentamente, le due carrozze dietro; sull’ultima c’è appeso un cartello giallo. “Trieste-Draga-Trieste”.
Un attimo e il trenino sparisce sbuffando oltre gli scambi del porto nuovo… San Giacomo, Sant’Anna, i ponti sopra i rii di Cattinara, San Giuseppe della Chiusa, Sant’Antonio-Moccò; San Silvestro del’58, un giorno feriale come tanti se non fosse l’ultimo giorno dell’anno e l’ultima corsa del trenino della Valle.
E’ormai quasi mezzogiorno, per essere inverno in città l’aria è quasi tiepida ma quaggiù, dai solitari varchi della Glinscica, dallo scivolo del rio Griza, dai ghiaiosi toboga di San Servolo la bora a tratti accelera, s’inalbera, precipita improvvisando piroette malandrine.
“Moccò, stazione di Moccò”; trentaquattro minuti esatti da campo Marzio, siamo in perfetto orario… Oggi però c’è troppo vento per arrampicare e poi non è stagione; una camminata forse, magari giù al Premuda o fin Botazzo, da Pepi e Maria che dall’altra estate inventano gnocchi e Malvasia. Ma l’ultimo dell’anno ci sono tante faccende da sbrigare: domani magari, se non si saran fatte ore assurde; la prossima settimana se il tempo tiene.
Domani, la prossima settimana, un altro giorno.
A Moccò non è sceso ne salito nessuno ma alla vaporiera non importa più di tanto, l’ultima corsa tra quelle pietre antiche forse è meglio farla da soli, così da sentir più forti i sussurri, i baci lievi della Valle.
Così è successo: dopo tanti anni di onorato servizio su quell’ardita tratta di salita le hanno tolto d’un tratto la fiducia, l’hanno voluta in pensione. Si, certo, la guerra e poi il confine l’avevano fermata a Draga tagliandole la strada per Erpelle e Pola, il motivo stesso del suo esistere; le toccava persino tornare in retromarcia. Poi c’erano gli alti costi di esercizio, la scarsità di passeggeri: le eran restati pochi, amati fedelissimi, gli affezionati escursionisti di certe domeniche d’autunno, i grottisti, i rocciatori che in fila indiana da Moccò costeggiavano i binari fino alle pareti. Poi qualcuno di Bagnoli e Draga, “lipe”di ragazzi finite all’ombra del Crinale, qualche innamorato.
Quei sedici chilometri di trenino sferragliante eran diventati il giocattolo di allegre gite festaiole, tascapani con mezze struze di salame e nella boraccia refosco, sacchi verdoni strapieni di scalette, canapi piombati, matasse di “manila” accatastate vicino al portellone, una chitarra… Si cantava “Stelutis” sotto la fioca luce del vagone, “Varda ‘sti Bruti” e poi le solite scabrose canzonacce di osteria, le risate zingare di un tempo… “E adesso che gavemo la strada ferata” e si arrivava veloci al mare, gli ultimi conciliaboli sulla riva nell’aria indecisa della sera.
L’avevan certamente amato come si può amare uno zaino scolorito, il fedele eskimo, il vecchio foulard avvolto tra i capelli.
Anche il Tram de Opcina dicevan che era inutile, che non conveniva più ma lui no, sempre là intoccabile: era stata un’ingiustizia… Era pur bello vedere quel piccolo convoglio macinar carbone tra spioventi terrazzi di calcare, sotto quelle rupi verticali di funanboli e di gufi, di piccoli assioli che a primavera gli facevano il verso.
C’eran anche i fruscii solitari, caprioli che al tramonto traversavano i binari, le tane soffianti della massicciata, pertugi di calcare, i segreti del monte Stena.
Nubi a fiocchi stavan appese appena oltre la galleria, talvolta la nebbia si posava repentina sui rari iris del ciglione od erano strati polverosi e candidi di neve ad adagiarsi petulanti tutto attorno al fumaiolo.
Il treno passa ora sotto il ponticello di arenaria presso Hrvati, eccolo imboccare rallentando la curva prima dei “Falchi”… Un attimo nel buio della “Rossa”, il rettilineo sospeso sugli “Altari”, la galleria della “Bianca”.
Le due carrozze sono quasi vuote: una coppia di Draga che torna con gli acquisti, un barbuto agricoltore di Grozzana, un pensionato triestino che ha saputo e ha portato una borsa di ricordi; poi c’è il consueto odore dei vagoni, quell’indefinibile miscuglio di legno, ferro, grasso e polveri antiche che ricorda improvviso i primi viaggi di bambino.
Ora nelle vetture è rotolato il silenzio delle rocce e dell’inverno, solo lo sbuffo intermittente della vecchia “476 FS” che sta nuovamente rallentando prima del casello: i due consueti fischi riecheggiano strani in quell’aria irreale da grandi occasioni; ancora un fischio, non è la norma, forse un saluto per il casellante, immobile come sempre sullo scalino della porta. Stasera al passaggio in retromarcia lei lo saluterà ancora… Lui darà allora un’occhiata allo stanzino, al tavolaccio con le carte, al piccolo albero addobbato con cura sopra la credenza, poi chiuderà le due mandate della robusta serrature e risalirà a San Lorenzo alla luce dell’acetilene in dotazione: calerà così il sipario, buon millenovecentocinquantanove, che vi porti la fortuna.
Improvvisamente da un frassino nudo arriva il verso della cincia: il treno, oramai sotto la “Grande”, è già sparito dallo sguardo, la sua voce si è fusa coi bisbigli del Rosandra, un suono sommesso, torrente e canto di sirena, zufolo di Pan. Dai finestrini socchiusi entrano soffiate di vapore, brevi momenti di tepore come di un’incipiente primavera, la sensazione precisa che il vento di nord est sia mutato in un lucido scirocco… Solamente la pressione della caldaia sotto sforzo, il sole ancora alto del primo pomeriggio.
L’odore buono di una pipa si è piacevolmente sparso tra le panche semivuote, il pensionato aggrappato al vetro di un mattino mai scordato vede chiaramente la pioggia lontana grondar su due sorrisi adolescenti, mano nella mano, di corsa tra i mulini, il lungo tronco steso sul fiume, il piccolo prato sotto il pastino nascosto, l’odore preciso della terra madida e di lei, della sua pelle.
Le rotte banconate spariscono a precipizio nella forra, sul ponte di Botazzo è ben visibile la bandiera tricolore; acre ancora il carbone che brucia.
La “Fessura del vento”, la “Grotta dei Pipistrelli”, poi le due carrozze entrano decise nella penultima galleria, quella dell’incidente agli operai, del profondissimo pozzo sopra il lago… Vecchie leggende della ferrovia, maschere di un’esistenza ormai corsara. Un grosso uccello rotea appena sopra, un corvo imperiale, forse solo una cornacchia, poi le ombre della pineta fingono la sera.
L’ultima, breve galleria; ecco: là oltre il bosco stan abbarbicate le rovine del castello. I graniciari slavi son sicuramente laggiù, mimetizzati chissà dove… Lungo il filo di quel crinale volpi e spettri, vipere, lucertole, sembianze evanescenti; appena più sotto, su declivi lastroni d’arenaria il Krvavi potok ruzzola selvaggio a cercar la Glinscica. Di colpo la trincea a chiudere la vista, un cippo bianco sulla cresta indica chiaramente la frontiera, una curva secca sulla linea di confine e appaiono i comignoli di Draga, la Valle è già sparita.
Venti minuti da Moccò, siamo in lecito ritardo.
Il vapore balla silenzioso ancora un poco nell’aria tersa di quel breve pomeriggio di Dicembre, carezza ancora quelle pareti create da antichi barramine; i binari luccicano un’altra volta contro l’ultimo sole dell’anno.
Appostata dietro le gallerie, sui rotti terrazzi, nei recessi delle rocce, la boscaglia, apparentemente addormentata, è pronta al grande assalto. Alberi, arbusti, roveti di mora nera e asparagi selvatici hanno atteso pazienti e radi per più di settant’anni aggrovigliati sui bianchi detriti della ferrovia: ora il momento è arrivato. Lo hanno capito da quel breve convoglio che oggi ha indugiato un po’di più su quei cinque magici chilometri, o per quel velo di fumo che non vuol saperne di svanire, o semplicemente per il consueto stantuffare inghiottito troppo presto dal silenzio.
E la Val Rosandra s’è fatta bella oggi, incredibilmente bella: distesa sul suo lattone di calcare, neghittosa primadonna, sente il trenino scorrere nel grembo… Un brivido, come la goccia di saliva che solca una pelle abbandonata, l’ultima carezza di un  perduto amante.
Poi, con il calare della sera, una tristezza riservata, dignitosa; su quel palcoscenico stregato l’aria si è nuovamente raffreddata, struggente e rarefatto scende da Occisla l’alito del buio.
Isolato dalla rupe un pino nero lancia veloce la sua ombra verso oriente, seducenti strie d’avorio graffiano lo spazio già incolore del tramonto, qualche minuto ancora e il sole annega in fondo alla città.
Un rombo, un attimo: due vagoni vuoti riportano laggiù una locomotiva.






Il ponte in via dell'Istria all'altezza dell'attuale Ospedale Infantile


Nel tratto sotto Cattinara


Sottopasso in via Doda


La stazione di Moccò

La Val Rosandra quando ancora passava il treno












Salita Trenovia - Tracce del passato


Salita Trenovia


La Salita Trenovia accompagna parallelo ai binari per un breve tratto il tram di Opicina non appena è partito da piazza Scorcola e inizia la ripida salita.
All'altezza della prima fermata piega a sinistra e inizia un suo personale percorso che avrà termine allacciandosi alla parte alta di via Romagna.
Anche questa passeggiata ha il pregio di essere lontana dall'inquinamento delle automobili e permette di raggiungere a piedi piazza Oberdan in un quarto d'ora.
Molto diverso l'impegno per salire, adatto per cuori e polmoni robusti, ma le vie da noi solitamente percorse richiedono queste caratteristiche.

Dal tram a Conconello - Tracce del passato


                  Dalla fermata del tram a Conconello


Questa scala che sembra perdersi nel bosco ne è un esempio, fa parte di un percorso che permetterebbe ancora oggi agli abitanti di Conconello di raggiungere la sottostante fermata del tram di Opicina.


Nella immagine qui sopra la linea gialla indica il punto di partenza ( in basso la fermata del tram) fino al punto in cui sbuca al tornante nelle immediate vicinanze di Conconello.

Qui sotto una sequenza di immagini che mostrano l'attuale stato del sentiero, voglio ricordare che non molti anni fa è stato completamente risistemato senza poi dar seguito a nessun tipo di manutenzione.

lunedì 4 febbraio 2013

Benvenuti nel blog di "Andrey Pejbosky Group"

Andrey Pejbosky Group  intende promuovere la socializzazione tra le persone attraverso l'incontrarsi prevalentemente all'aria aperta organizzando assieme ad amici e simpatizzanti delle passeggiate in mezzo alla natura, abbinando in questo modo la conoscenza tra le persone alla conoscenza di luoghi.
Questo progetto fin dall'inizio ha riscosso l'approvazione di molti, che hanno riconosciuto come proprio a causa del computer hanno trascurato il rapporto diretto affidando questo ruolo a una tastiera.
"Era tempo che qualcuno ci pensasse" mi sento ripetere sempre più spesso.
Bene! Ora è tempo che ognuno metta del proprio per far crescere questo progetto, partecipando attivamente e invitando a farvi parte i propri amici, perchè no, anche e soprattutto quelli virtuali.

Fulvio Covalero

Ricordo agli amici che la pagina Facebook di Andrey Pejbosky è stata rimossa, d'ora in avanti si comunica solo attraverso telefono o via e mail.

Fulvio Covalero
340 5504662

andrey.pejbosky@gmail.com